La corresponsabilità in caso di mancato pagamento della ritenuta d’acconto

Il contribuente che non riceve la certificazione può ugualmente procedere allo scomputo. La consegna della Certificazione Unica, pur rimanendo un obbligo del sostituto d’imposta (es. la Ditta che ha ricevuto la parcella dal Professionista) nei confronti del sostituito (es. il Professionista che ha emesso la fattura alla Ditta), non preclude a quest’ultimo lo scomputo della ritenuta sui redditi d’impresa o di lavoro autonomo.
L’Amministrazione Finanziaria, con la risoluzione 19.03.2018, n. 68/E, ha dato parere favorevole a condizione che, in caso di controllo del sostituito, questo sia in condizione di dimostrare l’effettivo assoggettamento della ritenuta tramite esibizione della relativa documentazione, proveniente da banche o altri intermediari finanziari idonei a comprovare l’importo del compenso effettivamente percepito al netto della ritenuta, come risulta dalla fattura.
In questa risoluzione, l’Amministrazione Finanziaria aggiunge che, nell’ipotesi in cui la fattura e la documentazione siano prodotte in sede di controllo ai sensi dell’art. 36-ter D.P.R. n. 600/1973, alle stesse dovrà essere allegata una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui il contribuente dichiari sotto la propria responsabilità che la documentazione attestante il pagamento si riferisce a una fattura regolarmente contabilizzata. La tesi dell’Amministrazione Finanziaria non ha entusiasmato i giudici della Corte di Cassazione. Infatti sono numerose a oggi le sentenze di legittimità che ritengono impossibile lo scomputo delle ritenute in assenza di certificazione o di attestazioni equipollenti (sentenze n. 14033/2006, n. 12072/2008, 14598/2017, 12113/2017, 12076/2016, 9933/2015, 9763/2014, 23121/2013). Queste pronunce avvalorano la responsabilità solidale della ritenuta per il sostituito, fermo restando il diritto di regresso verso il sostituto. Errore concettuale, privo di fondamento e in contrasto con la solidarietà del sostituto d’imposta dall’art. 35 D.P.R. 602/1973. Dalla lettura letterale dell’articolo si evince che la coobbligazione in solido del sostituito è riferita soltanto alle ritenute versate a titolo d’imposta e non a titolo d’acconto. Questa tesi è avallata dalla CTP di Sondrio (sentenza del 27.03.2013) che sottolinea la non punibilità del “sostituito”, legittimato a detrarre l’importo della ritenuta, non potendo pagare due volte l’imposta a causa di un comportamento antigiuridico del sostituto. Anche gli studi del Notariato sono favorevoli a non scaricare sul sostituito il problema di un mancato incasso erariale per colpe a lui non imputabili. Si costringerebbe, infatti, quest’ultimo a subire una duplice imposizione per fatti a lui non riconducibili. Tale orientamento porterebbe un beneficio per l’Amministrazione Finanziaria per l’imposta non scomputata e rimasta nelle casse erariali, data la possibilità del ravvedimento operoso che permette al sostituto di pagare le somme dovute anche dopo il termine della presentazione della dichiarazione dei redditi e anche dopo la richiesta di documenti in base all’art. 36-ter. Recentemente, con la sentenza 14138/2017, la Corte di Cassazione ha adottato un diverso orientamento, secondo il quale la certificazione del sostituto per lo scomputo della ritenuta d’acconto è prova tipica ma non esclusiva, la cui assenza non può precludere il diritto allo scomputo per il sostituito.

Articolo tratto da Imposte e Tasse – autore Ida Dominici