Cedolare secca per la locazione dei negozi

Debutta quest’anno l’imposta sostitutiva sulle locazioni di negozi e botteghe. Ma la platea dei beneficiari è molto ridotta
La cedolare è limitata ai fabbricati accatastati nella categoria «negozi e botteghe» (C/1). Esclusi, quindi, gli uffici (A/10), ma anche i laboratori artigianali (C/3). Inoltre, i locali cui si applica la cedolare non devono superare i 600 metri quadrati.
Nella superficie, però, non si contano le pertinenze, che pure possono essere locate insieme al negozio. Quindi, ad esempio, si potrà tassare al 21% il canone derivante dalla locazione di un negozio di 500 metri quadrati e di un magazzino pertinenziale di 120 metri quadrati.
I soggetti interessati
La cedolare secca può essere applicata dai locatori persone fisiche. Sono quindi escluse le società, ma potrebbero rientrarvi gli imprenditori che sfrutteranno la chance prevista dalla legge di Bilancio per “estromettere” dalla sfera aziendale gli immobili e darli in locazione come privati.
La legge non dice nulla sull’inquilino, che quindi potrà anche essere una società.
Il vincolo ai contratti
Il limite più grande riguarda i contratti, perché si può optare per la nuova imposta solo se la locazione è stata stipulata nel 2019 (e solo a patto che alla data del 15 ottobre 2018 non fosse in corso – tra gli stessi soggetti e per lo stesso immobile – un contratto non scaduto e poi risolto in anticipo). Al di là di quest’ultima clausola antielusiva previste dalla legge, si tratta di una restrizione che ha una ragione puramente economica: pensata cioè per minimizzare il costo per l’Erario.
Motivazioni
L’obiettivo della norma è ambizioso: combattere l’abbandono di intere vie colpite dalla crisi degli esercizi di vicinato e favorire il riutilizzo di locali ora vuoti o abbandonati. Poiché l’affitto di un negozio rende meno rispetto a quello di una casa, la cedolare dovrebbe servire a incrementare la marginalità dei locatori, consentendo di praticare canoni più contenuti agli inquilini. Ma dietro tanta parte dello sfitto non c’è alcun problema di canoni troppo alti, quanto piuttosto una carenza di domanda. In quest’ottica, è impensabile che basti una flat tax per invertire dinamiche di mercato segnate negli ultimi anni da un cambiamento strutturale (zone urbane “devitalizzate”, shopping attratto da centri commerciali e grandi store, eccetera).
Estratto da Il Sole 24 Ore – Autori: Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste