Tassa sui Money Transfer

La tassa sui money transfer a rischio illegittimità
La norma è in contrasto con l’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Ue.
Vi sono seri dubbi sulla legittimità della norma e, in ogni caso, non è ancora chiaro come l’imposta debba essere calcolata, riscossa e versata.
In dettaglio, dal 1° gennaio 2019, dovrebbe essere applicata una imposta sui trasferimenti di denaro, a esclusione delle transazioni commerciali, effettuati verso Paesi non appartenenti all’Unione europea, dagli istituti di pagamento che offrono servizi di «rimessa di somme di denaro». L’imposta sarebbe pari all’1,5% del valore di ogni singola operazione effettuata, a partire da un importo minimo di euro 10. Dall’imposizione fiscale rimangono escluse le micro operazioni, ovvero quelle inferiori a 10 euro, che tuttavia nella prassi sono poco frequenti, considerato che in genere le commissioni applicate dagli operatori hanno una componente fissa.
Nella norma non sono specificate le modalità di versamento dell’imposta né se l’imponibile sia al lordo o al netto delle commissioni addebitate dal money transfer. Il costo complessivo della rimessa è costituito da due componenti: la commissione diretta o in senso stretto, che può essere di ammontare fisso oppure percentuale sulla somma inviata (di solito con una cifra minima e con valori diversi a seconda delle fasce di denaro trasferito) e il costo per lo spread tra tasso di cambio applicato al cliente e quello sostenuto dall’operatore. In attesa di chiarimenti, è ragionevole supporre che l’imposta debba essere calcolata sul denaro da trasferire al netto della commissione diretta. A questo problema dovrebbe porre rimedio un futuro provvedimento attuativo, da emanarsi entro il 17 febbraio 2019 cioè quasi due mesi dopo la data di prima applicazione della tassa.
Articolo estratto da Il Sole 24 Ore – Autori: Marco Piazza, Stefano Sirocchi